Chiare, fresche et dolci acque

Petrarca

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    ANALISI TESTUALE DELLA CANZONE DI PETRARCA “CHIARE, FRESCHE ET DOLCI ACQUE”

    Il componimento di Petrarca sintetizza in modo perfetto i temi più cari al poeta: l’amore per la sua donna, Laura, e la natura.
    Le due tematiche vengono affrontate in maniera parallela: l’amore sconvolge la vita del poeta, accentuando il suo dissidio interiore, ma egli è anche felice per il suo forte sentimento, e la descrizione dei paesaggi che fanno da sfondo alla sua passione corrispondono al suo stato d’animo.
    Fin dal verso 1, che riprende il titolo, com’è uso nei poeti del tempo, capiamo che il poeta vuole esaltare a donna amata e ciò avviene non soltanto attraverso la descrizione diretta della sua bellezza, ma anche per mezzo del luogo che fa da sfondo alla vicenda: è il paese di Valchiusa, dove tetrarca si rifugia per sfuggire alla confusione della vita cittadina.
    Per analizzare il testo dobbiamo quindi prendere in considerazione il rapporto che si instaura fra i due elementi: nella canzone avviene una stilizzazione della figura femminile, che a tratti ricorda le convenzioni stilnoviste.
    Anche il paesaggio si accompagna a questa sublimazione, con la descrizione tipicamente medievale del “locus amoenus”: Petrarca ne fa un ritratto astratto, così come la figura di Laura non è definita concretamente.
    Il paesaggio non è un dato oggettivo, ma è frutto di una costruzione mentale, che recupera il tempo trascorso: questo è un tema caro al poeta, che sente fortissimo il senso della morte e del tempo che passa, e proprio attraverso questa tematica si può analizzare il testo sotto un altro punto di vista.
    Nel componimento si individuano diversi piani temporali, corrispondenti alle diverse strofe, che vanno a costruire una tipica struttura a chiasmo (ABBA).
    Nella prima strofa il poeta ricorda il passato, con l’apparizione di Laura, e lascia poi spazio al dolore presente.
    Nelle strofe centrali si prende quindi in considerazione il futuro, con la speranza del riposo dopo la morte, e il sogno di Laura che, impietosita di fronte alla tomba del poeta, intercede presso Dio.
    Infine, nel commiato, Petrarca analizza di nuovo il passato attraverso l’estasi per la bellezza sovraumana di Laura.


    A apparizione e dolore presente
    B riposo dopo la morte
    B intercessione di Laura
    A sublimazione di Laura

    Nella canzone Laura viene sublimata e la sua figura ci appare quasi irreale; qui infatti il poeta rievoca con dolcezza l’amata, che assume i tratti di una bellezza fuori dal tempo.
    Questa visione è molto diversa da quella di altri componimenti (vd. “Erano i capei d’oro a l’aura sparsi”), in cui la figura femminile è sì descritta in tutta la sua bellezza, ma con malinconia e tristezza per il tempo che ha sfiorito e sbiadito l’immagine di Laura.
    Inoltre in questo componimento non emerge il rimpianto e il bisogno di giustificarsi per gli errori giovanili (com’è invece chiaro in “Voi ch’ascoltate…”)
    e la passione non è vista in modo del tutto negativo, poiché il poeta spera ancora nella compassione dell’amata Laura.


    Parafrasi

    Chiare, fresche e dolci acque del fiume
    nel quale si bagnò il corpo
    della signora del mio cuore;

    gentil ramo al quale decise
    (sospirando mi ricordo)
    di appoggiarsi;
    erba e fiori che la gonna
    graziosa ricopriva
    con l’angelico seno,
    il cielo reso sacro, sereno,
    dove l’amore mi trafisse il cuore attraverso lo sguardo di Laura:
    ascoltate tutti
    le mie dolenti ultime parole prima che muoia.

    Se il mio destino è veramente come credo
    e il cielo in ciò si impegna,
    che l’amore chiuda questi occhi in lacrime,
    una buona sorte possa far sì che il mio infelice
    corpo sia sotterrato in questi luoghi,
    e possa l’anima tornare in cielo ormai libera dal corpo.
    La morte sarà meno dolorosa
    se ho questa speranza
    del temuto passaggio da una vita all’altra:
    perché lo spirito stanco
    non potrebbe mai in posto più tranquillo
    né in una più tranquilla fossa
    lasciare la carne tormentata e le ossa.

    Forse verrà ancora il tempo
    che in questo abituale luogo
    torni la fiera bella e mansueta,
    e là dove lei mi vide
    quel giorno presso il fiume Sorga,
    volga lo sguardo desiderosa e lieta,
    cercandomi: oh spettacolo pietoso!
    vedendomi ormai fatto polvere tra i sassi.
    A questa vista, amore l’ispiri
    in modo che sospiri
    così dolcemente da ottenere per me misericordia
    e riesca a vincere il rigore della giustizia divina
    col suo pianto.


    Dai bei rami scendeva
    (dolce il ricordo)
    una pioggia di fiori sopra il suo grembo;
    e lei si sedeva
    umile e glorificata,
    già coperta dai fiori caduti.
    Alcuni fiori cadevano sul lembo della veste,
    altri sulle bionde trecce
    che oro e perle incastonate
    parevano quel giorno guardandole;
    altri si posavano per terra, e altri sulle onde;
    altri ancora con grazioso volteggio
    girando sembravano dire: qui regna amore.

    Quante volte io dissi
    allora pieno di stupore e ammirazione:
    lei di certo nacque in paradiso.
    Il divino aspetto,
    il volto, le parole e il dolce riso
    mi avevano reso così dimentico di tutto
    e distaccato dalla realtà
    che sospirando dicevo:
    Qui come venni io, o quando?
    credendo di trovarmi in cielo, pur non essendoci.
    Dal quel momento in poi ho amato tanto
    questi luoghi che altrove non ho pace.

    Se tu fossi elegante, bella come vorresti essere,
    potresti senza timore
    uscir dal bosco e andar tra la gente.







    Altra parafrasi

    Canzoniere, Chiare, fresche et dolci acque, F.Petrarca

    Chiare, fresche e dolci acque, dove l’unica che considero una donna si è immersa; gentile ramo dove a lei piacque (ricordo sospirando) di appoggiarsi; erba e fiori che la gonna di lei ricoprì fra le angelicamente bianche pieghe; aria sacra, serena, dove Amore mi colpì tramite i begli occhi: ascoltate insieme le mie ultime parole.
    Se è proprio mio destino, e il cielo si dia da fare per questo, che Amore chiuda questi occhi che piangono, qualche grazia divina voglia che il mio corpo infelice sia seppellita qui tra voi e la mia anima libera dal corpo torni in cielo. Morire sarà meno crudele se mi accompagna alla morte la speranza di essere seppellito qui: perché l’anima stanca non potrebbe mai abbandonare il corpo tormentato in un porto più tranquillo, né in una più tranquilla fossa.
    Forse la bella e mansueta fiera tornerà ancora alle rive del Sorga, e là dove mi vide per la prima volta, cercandomi desiderosa: e vedendomi, oh pietosa visione!, ormai polvere tra le pietre, Amore la ispiri in modo che sospiri così dolcemente da ottenere per me la grazia, forzando la giustizia divina, asciugandosi gli occhi col bel velo.
    Scendeva dai bei rami (dolce ricordo) una pioggia di fiori nel suo grembo; ed ella sedeva umile in tanta gloria, già coperta dalla nube di fiori. Il fiore che cadeva sul lembo della veste, quello che cadeva sulle trecce bionde, che a vederle quel giorno parevano oro e perle i petali dei fiori, quello che cadeva a terra, e quello sull’acqua; quello con un leggiadro volteggio sembrava dire girando: qui regna Amore.
    Quante volte dissi io pieno di ammirazione: costei di sicuro viene dal paradiso. Così dimentico di tutto, il suo aspetto celestiale e il volto e le parole e il dolce suono della risata mi avevano così portato lontano dalla realtà che dicevo sospirando: come sono venuto qui, e quando?; credendo di essere in cielo, invece che là dove mi trovavo. Da allora mi piace questa riva così tanto che in altro posto non ho pace.
    Se tu, poesia, avessi bellezze quante ne vorresti, potresti senza paura uscire dal bosco e andare tra la gente.
     
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