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GUERRA DI INDIPENDENZA AMERICANA (1776-1783) (sintesi e
integrazione)
Con la guerra del 1776-1783 le colonie americane furono il primo Stato coloniale
moderno a raggiungere l’indipendenza politica: infatti almeno a partire dal ‘500, con la
creazione del sistema coloniale, nessuna colonia era ancora riuscita ad affrancarsi dal
dominio di uno Stato europeo. Inoltre, sempre con questa guerra, nacque anche il primo
Stato federale moderno.
Il termine federale deriva dal latino foedus, eris, che significa patto; si può rintracciare
un primitivo esempio di una struttura politica federale già nell’età del basso Impero
romano, quando alcune popolazioni barbariche, entrate nei confini dell’impero, vennero
di fatto riconosciute come foederati.
Nel Medioevo la struttura politica dell’Impero, suddiviso in feudi maggiori e minori, era in
qualche modo un esempio di federalismo ante litteram: da un lato infatti sussisteva un
legame giuridico-formale tra i feudi e la monarchia, intesa come potere politico centrale,
dall’altro c’era l’autonomia effettiva dei feudi stessi rispetto a tale centro.
Tuttavia, al di là di queste generiche analogie, il federalismo medievale fu alquanto
diverso da quello che si affermò nell’età moderna e contemporanea e che ebbe proprio
negli Usa il suo primo modello.
Il federalismo moderno infatti ha avuto un carattere decisamente nazionale, mentre
quello antico e medievale aveva piuttosto un carattere sovranazionale, che lo faceva
somigliare più ad una confederazione che ad una federazione.
La federazione infatti è una associazione nella quale i singoli Stati membri cedono una
parte della propria sovranità ad un governo centrale (federale).
Per sovranità si intende il diritto di esercitare il potere e il comando, effettivo ed
incondizionato, su un determinato territorio (sovranità territoriale).
Pertanto in uno Stato federale i singoli Stati membri delegano (quindi cedono) al
governo centrale l’esercizio di alcuni fondamentali poteri, come per esempio la
conduzione della politica estera, della politica finanziaria ed economica generale, del
commercio con l’estero, della difesa militare (esercito).
D’altro canto però gli Stati membri conservano ampie autonomie e piena sovranità in
molti altri settori, come per esempio in quello amministrativo, nel campo scolastico,
nella giustizia, nella pubblica sicurezza ecc.(negli USA, ad esempio, ogni Stato ha una
propria polizia, che è distinta ed ha poteri diversi rispetto alla polizia federale, ossia la
F.B.I.).
La struttura dello Stato federale, quindi, concilia, attraverso un complesso sistema di
equilibri, le spinte autonomistiche degli Stati membri con la necessità di avere comunque
un forte ed unificante potere centrale.
Come già detto, gli USA sono stati storicamente il primo vero Stato federale moderno,
divenendo così un modello nei due secoli successivi.
La confederazione invece è una associazione di Stati che conservano interamente la
propria sovranità ed indipendenza, in quanto non cedono alcun potere al governo
centrale: essi semplicemente si limitano ad unificare e coordinare le loro politiche per
perseguire scopi comuni, come lo sviluppo economico, la difesa dell’ambiente, la difesa
militare eccetera.
Una confederazione quindi è costituita da Stati pienamente sovrani che decidono di
consorziarsi: in essa esistono degli organi comunitari che hanno solo funzioni e poteri di
indirizzo ma che non possono violare la sovranità di uno Stato membro, il quale decide
autonomamente se uniformarsi o meno a tali indirizzi collettivi.
Il vincolo confederale è dunque molto più debole di quello federale: tanto è vero che
mentre in una confederazione, se uno Stato decide di uscirne, non si creano gravi
problemi di natura politico-militare, nella federazione invece i singoli Stati non possono
decidere di uscire dal patto se non mettendo in atto un vero e proprio processo
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separatista ed indipendendista (secessionista), proprio perché lo Stato federale è a tutti
gli effetti uno Stato nazionale.
Un esempio attuale di struttura confederale è dato dalla U.E. (Unione Europea,
attualmente formata da 27 Stati): gli Stati membri, infatti, conservano pienamente la
propria sovranità anche se si accordano e coordinano le loro politiche per raggiungere
scopi comuni.
Questa dissertazione è servita anche per comprendere meglio l’evoluzione politica della
guerra di indipendenza americana: infatti le tredici colonie in un primo momento, con gli
Articoli di confederazione del 1781, cioè prima che la guerra finisse, si diedero una
struttura confederale.
Sennonché, dopo il raggiungimento dell’indipendenza (1783), si sviluppò un forte
contrasto interno agli Stati tra i fautori del confederalismo, gelosi della sovranità dei
singoli Stati, e i sostenitori del federalismo, che invece vedevano i rischi e i limiti della
struttura confederale (ossia il rischio che lo Stato confederale si disgregasse o che fosse
troppo debole sul piano politico, economico e militare) e chiedevano quindi la
trasformazione della confederazione in federazione.
Gli esponenti più importanti del partito federalista furono Madison e Hamilton. Questo
dibattito politico sfociò nella convocazione della Convenzione di Philadelphia, a cui
parteciparono gli esponenti di tutti gli Stati, nel corso della quale prevalse l’opzione
federalista e fu elaborato il testo della nuova Costituzione federale degli USA (1787),
che entrò in vigore solo dopo l’approvazione di tutti gli Stati membri.
Questa Costituzione venne modificata qualche anno dopo (1791) con 10 emendamenti
(= modificazioni), in pratica furono aggiunti ulteriori articoli che riguardarono soprattutto
l’esercizio dei diritti civili e politici dei cittadini, e da allora in poi, nonostante
l’introduzione di successivi emendamenti, essa è rimasta sostanzialmente inalterata fino
ad oggi: con la Costituzione del 1787 nacque la prima repubblica federale presidenziale
(in quanto riconosceva ampi poteri al presidente).
Sulla guerra di indipendenza americana è da ricordare inoltre l’importanza storica della
Dichiarazione d’Indipendenza del 1776, redatta da personalità tra cui spiccava la figura
di Thomas Jefferson: essa segnò non solo l’inizio ufficiale della guerra ma divenne anche
una delle pietre miliari del costituzionalismo occidentale, paragonabile per importanza
alla più nota Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 (Rivoluzione
francese).
La Dichiarazione di Indipendenza del ’76 conteneva infatti i principi basilari di una
moderna democrazia borghese: essa riprese e rielaborò i concetti essenziali del pensiero
giusnaturalista e liberale del XVII e XVIII secolo. In particolare essa affermò il principio
della divisione dei tre poteri fondamentali dello Stato.
Tale teoria della divisione era già stata abbozzata da John Locke nell’Inghilterra del ‘600,
ma fu poi formulata in modo definitivo ed esplicito dall’illuminista francese Montesquieu:
la divisione implicava che i tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) dovessero
necessariamente essere autonomi ed indipendenti, per cui non erano ammesse
interferenze e condizionamenti tra governo (potere esecutivo), magistratura (potere
giudiziario) e parlamento (potere legislativo). Un giudice non poteva ricoprire, ad
esempio, cariche di governo e viceversa.
Nella prima metà del XIX secolo, e anche oltre, continuò il processo di colonizzazione dei
territori dell’Ovest (“la conquista del West”), che ebbe come effetto la completa
sottomissione, se non proprio il genocidio, dei cosiddetti indiani d’America, costretti ad
abbandonare i loro territori e ad accettare il potere dei bianchi.
Tra il 1861 e il 1865 si svolse inoltre la Guerra di secessione, attuata dagli Stati del sud,
più tradizionalisti e legati all’economia agricola schiavistica, contro gli Stati del nord, più
moderni ed industrializzati e contrari al mantenimento dello schiavismo.
Prevalsero gli Stati del nord e da allora in poi gli Usa conobbero uno sviluppo economico
di enorme portata, che trasformò il paese in una vera e propria potenza industriale, una
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potenza che avrebbe affermato la propria egemonia politica, militare ed economica nel
corso del XX secolo.
LE VICENDE DELLA GUERRA D’INDIPENDENZA
Il conflitto tra Gran Bretagna e colonie americane cominciò a delinearsi subito dopo la
fine della Guerra dei Sette anni (1763). Si pose in particolare un problema di ordine
finanziario, ossia di reperimento delle risorse necessarie per il funzionamento delle
strutture coloniali, problema che non poteva essere risolto con le sole forze della finanza
inglese. Con li nuovo Primo ministro Greenville, succeduto a Pitt, si inaugurò una nuova
strategia imperiale, il cosiddetto “new colonial system”, attraverso cui fu accentuata la
subordinazione delle colonie alla madrepatria e fu inasprita la politica fiscale: le colonie
americane non potevano pretendere più di pagare poche tasse o di continuare a godere
di una situazione fiscale e doganale di tolleranza (ad esempio la tradizionale tolleranza
verso il fenomeno del contrabbando).
D’altra parte le colonie americane, proprio in quegli anni, stavano attraversando una
fase di profondi cambiamenti: era in atto un rapido sviluppo economico e demografico,
sviluppo che ebbe riflessi importanti nel rapporto con la madrepatria.
La nuova politica fiscale del governo inglese, come dicevamo, fu quindi all’origine del
processo di indipendenza: si cominciò con lo Sugar Act del 1764, che gravava
sull’importazione dello zucchero e della melassa (utilizzata per la distillazione del rhum)
e nello stesso tempo furono prese misure che colpivano il contrabbando. Seguì lo Stamp
Act del 1765: era un’imposta sul bollo che si applicava su giornali, opuscoli, licenze,
contratti e documenti legali. Tale imposta provocò una reazione forte, organizzata e
generalizzata, che si concluse con il ritiro del provvedimento e con modifiche migliorative
dello Sugar act. Dopodiché ci fu un periodo in cui le relazioni tra colonie e madrepatria
migliorarono ma la situazione precipitò di nuovo nel 1767 con l’adozione delle
Townshend Acts, che imponevano dazi sulle importazioni di tè, vetro, piombo e carta,
rafforzavano il servizio doganale e concedevano alla Compagnia delle Indie Orientali un
premio sul tè riesportato dall’Inghilterra verso le colonie.
Di fronte a questi provvedimenti si verificò una nuova forte reazione che assunse un
carattere popolare e provocò una sensibile riduzione delle importazioni dalla Gran
Bretagna. Ma anche questi provvedimenti furono ritirati nel 1770 e le relazioni tra la
madrepatria e le colonie migliorarono nuovamente.
La crisi però si ripresentò nel 1773, quando il parlamento britannico tentò di risolvere le
difficoltà della Compagnia delle Indie Orientali concedendole il monopolio della vendita
del tè nelle colonie americane, allo scopo di favorire lo smaltimento di colossali giacenze
accantonate nei suoi magazzini. La reazione contro questo provvedimento, che intaccava
gli interessi degli intermediari e dei commercianti coinvolti nel traffico illegale, fu
clamorosa e risoluta, anche perché si temeva che questi provvedimenti monopolistici
potessero essere ampliati. Ancora più accentuata fu la reazione dei movimenti patriottici
che stavano maturando sentimenti di avversione alla crescente politica di sudditanza
delle colonie verso l’Inghilterra. Il 16 dicembre del 1773 una gran folla si radunò nei
pressi del porto di Boston per protestare contro il previsto sbarco del tè della Compagnia
delle Indie Orientali.
Durante la notte, centocinquanta patrioti, dopo essersi camuffati da indiani, salirono a
bordo delle navi, ormeggiate in porto, e gettarono in acqua 342 balle di tè, per un
valore di oltre 10 mila sterline. L’episodio portò le relazioni tra madrepatria e colonie ad
un inevitabile e irrecuperabile punto di rottura. Le colonie americane si erano
apertamente ribellate alla sovranità inglese. Re Giorgio III si sentì personalmente sfidato
e l’Inghilterra fu obbligata ad intervenire pesantemente.
Nel 1774 il parlamento britannico emanò un complesso di provvedimenti restrittivi quali
la chiusura del porto di Boston, la revisione dello statuto della colonia del
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Massachussetts, la riduzione dei poteri del governo locale e l’ampliamento di quelli del
governo regio. Venne anche inasprito il Quartering Act del 1765, relativo all’obbligo, da
parte delle colonie, di predisposizione alloggiamenti ed approvvigionamenti per le
guarnigioni inglesi, ed infine fu stabilita l’annessione dei territori compresi tra i fiumi
Ohio e Mississipi e i Grandi laghi alla provincia canadese del Quebec, con conseguenti
limitazioni alle prospettive di espansione verso Ovest delle colonie. Questi
provvedimenti, che gli americani definirono intollerabili, provocarono una forte reazione
politica e commerciale, con il boicottaggio delle importazioni dalla madrepatria. Stava
per iniziare il processo di indipendenza. Nel settembre del 1774 si riunì a Philadelphia il
primo Congresso Continentale. Nell’aprile del 1775 si verificarono gli scontri di
Lexington e Concord tra la milizia coloniale e i soldati britannici. A maggio dello stesso
anno si riunì a Philadelphia il secondo Congresso Continentale, che approvò un
provvedimento che istituiva una forza armata coloniale posta sotto il comando di G.
Washington. A giugno si ebbero ancora scontri e ad agosto Giorgio III emanò il
proclama che dichiarava le colonie in stato di ribellione.
Nel 1776 il problema dell’indipendenza venne posto all’ordine del giorno del Congresso,
fu nominato un comitato di illustri personalità per compilare il documento ufficiale e si
ebbe così la Dichiarazione di Indipendenza del 4 luglio 1776, che sancì la nascita della
nuova nazione..