L'umanità primitiva De rerum natura Libro V

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  1. *la_debbO*
     
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    da at genus humanum multo fuit.... a illi inprudentes ipsi sibi saepe venenum vergebant, nunc dant <aliis> sollertius ipsi.


    Ma la stirpe umana che visse allora nei campi fu molto più dura, com'era naturale, ché la dura terra l'aveva creata; e nell'interno del corpo fu piantata su ossa più grandi e più salde, connessa attraverso le carni da nervi poderosi, tale che non poteva facilmente esser vinta dal caldo, né dal freddo, né da cibo inconsueto, né da alcun difetto del corpo. E, durante il corso di molti lustri del sole per il cielo, conducevano la vita a guisa di fiere vagabonde. Non c'era nessuno che robusto reggesse l'aratro ricurvo, nessuno sapeva lavorare i campi col ferro, né piantare nella terra i virgulti novelli, né dagli alti alberi tagliar via coi falcetti i rami vecchi. Ciò che donavano il sole e le piogge, ciò che produceva di per sé la terra, era un dono bastevole a placare quei petti. Tra le querce cariche di ghiande per lo più ristoravano i corpi; e le corbezzole, che ora nella stagione invernale vedi farsi mature, di colore purpureo, allora la terra le produceva in grandissimo numero e anche più grosse. E la fiorente gioventù del mondo produsse allora molti altri rudi alimenti, abbondanza per i miseri mortali. Ma a sedare la sete li chiamavano i fiumi e le fonti, come ora il torrente, che precipita giù dai grandi monti, chiama per ampio spazio col chiaro suono sitibonde famiglie di fiere. Occupavano infine i silvestri recessi delle ninfe, scoperti nel loro vagare, dai quali sapevano che rivoli d'acqua fluivano con larga corrente lavando le umide rocce, le umide rocce, stillanti sopra il verde muschio, mentre altri scaturivano ed erompevano per la piana campagna. E non sapevano ancora trattare le cose col fuoco, né servirsi di pelli e vestire il corpo con spoglie di fiere, ma abitavano boschi e caverne montane e selve e nascondevano le scabre membra tra le macchie, quando eran costretti a evitare sferzate di venti e piogge. Né erano capaci di mirare al bene comune, né sapevano valersi di costumi e di leggi nei loro rapporti. Ciò che a ciascuno la fortuna aveva offerto come preda, ciascuno se lo prendeva, avvezzo a usare la forza e a vivere da sé, per sé stesso. E Venere nelle selve congiungeva i corpi degli amanti; conquistava infatti la donna o un reciproco desiderio o la violenta forza dell'uomo e la sua brama intensa o una mercede: ghiande e corbezzole o pere scelte. E, confidando nella meravigliosa forza delle mani e dei piedi, davano la caccia alle silvestri stirpi delle fiere con lancio di sassi e con clave pesanti; e molte ne vincevano, poche ne evitavano nascondendosi; e, come setolosi cinghiali, abbandonavano sulla terra nude le membra silvestri, quando li sorprendeva la notte, avvolgendosi, tutt'intorno, di foglie e di fronde. Né con grande lamento cercavano il giorno e il sole per i campi vagando paurosi tra le ombre della notte, ma taciti e sepolti nel sonno aspettavano che con la rosea fiaccola il sole portasse la luce nel cielo. E infatti, poiché dalla fanciullezza s'erano abituati a vedere sempre le tenebre e la luce prodursi in tempi alterni, non poteva avvenire mai che li colpisse meraviglia o il timore che una notte senza fine occupasse la terra e il lume del sole fosse stato rapito per sempre. Ma più angoscioso era questo, che le stirpi ferine spesso a quei miseri facevano tribolato il riposo. E, scacciati dalla loro dimora, fuggivano i rocciosi ripari all'arrivo d'un cinghiale schiumante o d'un possente leone, e a notte fonda atterriti cedevano agli ospiti feroci i covili coperti di fronde. Né allora molto più che ora le stirpi mortali lasciavano con lamenti la dolce luce della vita. Certo, allora più spesso qualcuno di loro, sorpreso, offriva pasto vivente alle fiere, dilaniato dalle zanne, e riempiva di lamenti boschi e monti e selve, vedendo le proprie vive carni seppellite in un vivo sepolcro. E quelli che si erano salvati fuggendo col corpo lacerato, poi, tenendo le mani tremanti sopra le orribili piaghe, invocavano con grida spaventose Orco, finché spasimi crudeli li privavano della vita, senza aiuto, ignari delle cure che le ferite reclamavano. Tuttavia molte migliaia di uomini adunate sotto le insegne non dava a morte un solo giorno, né le procellose acque del mare gettavano navi e uomini a infrangersi contro gli scogli; ma alla cieca, a vuoto, invano il mare spesso si sollevava imperversando, e facilmente deponeva le inutili minacce, né la lusinga della bonaccia poteva subdola trarre in inganno qualcuno col sorridere delle onde. La rovinosa arte del navigare giaceva allora ignorata. Allora la penuria di cibo dava alla morte le membra languenti, ora al contrario le sommerge l'abbondanza. Per ignoranza gli uomini d'allora spesso versavano il veleno a sé stessi, quelli d'ora più scaltramente lo danno essi ‹agli altri.›
     
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  2. Ale_ilGelataio
     
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    grazie per la verisa
     
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1 replies since 3/12/2008, 19:53   3512 views
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