Plauto - Aulularia - 04 10 AttoIV scena X

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  1. =|DeBBuppOlA|=
     
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    EVCL. Quis homo hic loquitur? LYC. Ego sum miser. EVCL. Immo ego sum,
    et misere perditus,
    cui tanta mala maestitudoque optigit. LYC. Animo bono es.
    EVCL. Quo, obsecro, pacto esse possum? L. Quia istuc facinus, quod tuom
    sollicitat animum, id ego feci et fateor. EVCL. Quid ego ex te audio?
    LYC. Id quod verumst. E. Quid ego <de te> commerui, adulescens, mali, 735
    quam ob rem ita faceres meque meosque perditum ires liberos?
    LYC. Deus impulsor mihi fuit, is me ad illam inlexit. EVCL. Quo modo?
    LYC. Fateor peccavisse et me culpam commeritum scio;
    id adeo te oratum advenio ut animo aequo ignoscas mihi.
    EVCL. Cur id ausu's facere, ut id quod non tuom esset tangeres? 740
    LYC. Quid vis fieri? factum est illud: fieri infectum non potest.
    deos credo voluisse; nam ni vellent, non fieret, scio.
    EVCL. At ego deos credo voluisse ut apud me te in nervo enicem.
    LYC. Ne istuc dixis. EVCL. Quid tibi ergo meam me invito tactiost?
    LYC. Quia vini vitio atque amoris feci. EVCL. Homo audacissime, 745
    cum istacin te oratione huc ad me adire ausum, impudens!
    nam si istuc ius est ut tu istuc excusare possies,
    luci claro deripiamus aurum matronis palam,
    post id si prehensi simus, excusemus ebrios
    nos fecisse amoris causa. nimis vilest vinum atque amor, 750
    si ebrio atque amanti impune facere quod lubeat licet.
    LYC. Quin tibi ultro supplicatum venio ob stultitiam meam.
    EVCL. Non mi homines placent qui quando male fecerunt purigant.
    tu illam scibas non tuam esse: non attactam oportuit.
    LYC. Ergo quia sum tangere ausus, haud causificor quin eam 755
    ego habeam potissimum. EVCL. Tun habeas me invito meam?
    LYC. Haud te invito postulo; sed meam esse oportere arbitror.
    quin tu iam invenies, inquam, meam illam esse oportere, Euclio.
    EVCL. Iam quidem hercle te ad praetorem rapiam et tibi scribam dicam,
    nisi refers. LYC. Quid tibi ego referam? EVCL. Quod surripuisti meum. 760
    LYC. Surripui ego tuom? unde? aut quid id est? E. Ita te amabit Iuppiter,
    ut tu nescis. LYC. Nisi quidem tu mihi quid quaeras dixeris.
    EVCL. Aulam auri, inquam, te reposco, quam tu confessu's mihi
    te abstulisse. LYC. Neque edepol ego dixi neque feci. EVCL. Negas?
    LYC. Pernego immo. nam neque ego aurum neque istaec aula quae siet 765
    scio nec novi. EVCL. Illam, ex Silvani luco quam abstuleras, cedo.
    i, refer. dimidiam tecum potius partem dividam.
    tam etsi fur mihi es, molestus non ero. i vero, refer.
    LYC. Sanus tu non es qui furem me voces. ego te, Euclio,
    de alia re rescivisse censui, quod ad me attinet; 770
    ~ magna est res quam ego tecum otiose, si otium est, cupio loqui.
    EVCL. Dic bona fide: tu id aurum non surripuisti? LYC. Bona.


    EUCLIONE LICONIDE

    EUCLIONE

    Chi è quest'uomo che parla?

    LICONIDE

    Sono uno sventurato.

    EUCLIONE

    Eh no, lo sventurato sono io, io, perdutamente perduto, io che sì nera tristezza sta opprimendo.

    LICONIDE

    Su, fatti coraggio.

    EUCLIONE

    Perdonami, ma come posso?

    LICONIDE

    Perché il misfatto che tormenta l'animo tuo l'ho combinato io, e lo confesso.

    EUCLIONE

    Che mi tocca sentire da te?

    LICONIDE

    La verità.

    EUCLIONE

    Che male mi son meritato da te, ragazzo, perché tu mi facessi questo e rovinassi me e i miei figli?

    LICONIDE

    Un dio mi mosse, mi spinse verso di lei.

    EUCLIONE

    E come?

    LICONIDE

    Sono colpevole, lo confesso, so di essermi macchiato di una colpa. Per questo sono qui a pregarti: perché tu sia clemente e mi conceda il perdono.

    EUCLIONE

    Come hai osato stender la mano su ciò che non era tuo?

    LICONIDE

    Che vuoi farci? Ciò che è stato è stato, mica puoi disfarlo. Sono convinto che gli dèi volevano così. Se non l'avessero voluto, la cosa non sarebbe successa, dico io.

    EUCLIONE

    Ma io son convinto che gli dèi vogliano che io ti faccia morire in catene, in casa mia.

    LICONIDE

    No, non dir così!

    EUCLIONE

    Forse che tu non l'hai toccato, il bene mio, contro la mia volontà?

    LICONIDE

    Ma io l'ho fatto per colpa del vino, e per amore.

    EUCLIONE

    Tu, spudorato! Tu hai la faccia di venir da me con questi discorsi? Se esistesse la legge che invochi, per scusarti, allora noi potremmo in piena luce spogliar le donne dei loro gioielli, e poi, una volta arrestati, scusarci col dire che eravamo sbronzi e che l'abbiamo fatto per amore. Ma allora il vino e l'amore sarebbero ben spregevoli cose, se consentono ad un ubriaco e ad un innamorato di fare impunemente tutto ciò che gli piace.

    LICONIDE

    Sono venuto qui spontaneamente a supplicare il tuo perdono alla mia follia.

    EUCLIONE

    No, non mi piacciono per niente gli uomini che prima la fanno grossa e poi vengono a scusarsi. Lo sapevi, tu, che non era tua, e non dovevi toccarla.

    LICONIDE

    Proprio perché ho osato toccarla io non cerco cavilli e voglio tenermela tutta per me.

    EUCLIONE

    Tenerla, tu, contro la mia volontà?

    LICONIDE

    No, non contro la tua volontà. Però ritengo che sia giusto che sia mia. Anche tu, Euclione, dovrai riconoscere - ti dico - che è bene che sia mia.

    EUCLIONE

    E se non la restituisci...

    LICONIDE

    Che cosa dovrei restituirti?

    EUCLIONE

    Ciò che mi hai rubato. Se no, per Ercole, io ti trascino dinanzi al pretore e ti denuncio.

    LICONIDE

    Ti ho rubato qualcosa, io? E dove? E che cosa mai?

    EUCLIONE

    Che Giove ti assista, dal momento che non sai nulla.

    LICONIDE

    Se non mi dici neanche che cosa pretendi...

    EUCLIONE

    La pentola dell'oro! Io dico che pretendo ciò che mi hai confessato di aver preso.

    LICONIDE

    No che non l'ho detto. E non l'ho fatto.

    EUCLIONE

    Tu neghi?

    LICONIDE

    Nego e stranego. Di quell'oro, di quella pentola, e che roba sia, io non so nulla e non ne ho mai saputo.

    EUCLIONE

    Quella, dico, che hai portato via dal bosco di Silvano. Va' e riportamela. Magari dividerò con te, metà per uno. Anche se mi hai derubato, non ti denuncerò. Va', dunque, e riportamela.

    LICONIDE

    Tu sei matto, se mi dai del ladro. Euclione, io pensavo che tu avessi saputo di un'altra cosa, che mi tocca da vicino. È importante, la faccenda che io voglio discutere con te, ma con calma, se è possibile.

    EUCLIONE

    Parla, secondo buona fede: tu l'oro non l'hai rubato?

    LICONIDE

    Lo giuro.
     
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  2. =andre=
     
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    User deleted


    ma quanto è lunga? >.<
     
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1 replies since 2/5/2008, 17:13   2473 views
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