Pitagora

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    PITAGORA (VI-V sec a.C.)

    LE VICENDE DELLA SCUOLA PITAGORICA

    Anche Pitagora fu originario della Jonia e precisamente di Samo.
    Si sa per certo che fondò una scuola a Samo, da dove si allontanò (intorno al 540-535 a.C.) per ragioni politiche, probabilmente perché ostile alla tirannide di Policrate.
    Si trasferì a Crotone, nella Magna Grecia, dove la sua scuola ebbe uno sviluppo notevole ed acquistò fama nel mondo allora conosciuto, attirando adepti da ogni parte.
    Scuole pitagoriche vennero fondate anche in altre città (Sibari, Reggio, Agrigento, Taormina ecc.). L’influenza delle sette pitagoriche fu tale da condizionare il governo delle città, in cui presero il potere instaurando delle oligarchie aristocratiche.
    Ciò provocò però la reazione del partito democratico che prima organizzò una forte opposizione e poi suscitò una vera e propria ribellione.
    A Crotone fu data alle fiamme la casa in cui si erano radunati gli esponenti della scuola, molti di essi morirono e solo pochi, tra cui Pitagora stesso, si salvarono.
    Successivamente si verificarono rivolte anche negli altri centri, da cui i pitagorici furono estromessi con la forza.
    Probabilmente Pitagora morì a Metaponto, dove si era rifugiato, verso il 497-496 a.C. Le vicende della scuola pitagorica furono quindi piuttosto travagliate e complesse, tanto che risulta difficile tracciare una precisa evoluzione del suo pensiero.
    Sicuramente ci furono diverse generazioni di pitagorici, tanto che gli storici hanno distinto almeno tra i cosiddetti pitagorici primi (vissuti al tempo di Pitagora) e i pitagorici secondi.
    Alla prima generazione appartennero in particolare Alcmeone di Crotone, medico, naturalista e filosofo, e il poeta Epicarmo.
    Gli esponenti più significativi della seconda generazione furono Filolao di Crotone, che si trasferì a Tebe, dove fondò una scuola, e al quale è stato attribuito uno scritto in cui vengono esposte le principali teorie del movimento; Archita di Taranto, vissuto nel IV secolo, che ricoprì incarichi politici e con cui Platone intrattenne rapporti di amicizia; Eurito, che aprì una scuola a Fliunte.
    Solo con Filolao e Archita abbiamo le prime testimonianze scritte, dal momento che tra i pitagorici primi esisteva solo l’insegnamento orale.
    Quella pitagorica fu una vera e propria scuola: i pitagorici costituirono infatti una comunità di carattere non solo scientifico ma anche politico (come abbiamo visto) e religioso.
    In essa si sviluppò un vero e proprio culto del maestro (Pitagora), considerato dagli allievi come un sapiente dotato anche di poteri miracolosi e straordinari.
    La comunità pitagorica era organizzata secondo rigide regole: vi si accedeva dopo prove rigorose, solo una parte dei novizi era ammessa alle conoscenze delle dottrine segrete (esoteriche), erano obbligatori il celibato e la comunione dei beni ed esisteva un vero e proprio catechismo di vita pitagorica, ricco di prescrizioni.
    Gli insegnamenti venivano tramandati oralmente ed era assolutamente vietata la loro divulgazione all’esterno.
    Esisteva inoltre nella scuola una distinzione tra acusmatici (novizi) e matematici ma ancora oggi, in sede storiografica, non si sa con certezza se essa indicasse la differenza tra un indirizzo più propriamente religioso-iniziatico (acusmatici) e un altro più scientifico-matematico (matematici), oppure solo la distinzione tra due fasi diverse dell’insegnamento: la prima, in cui gli iniziati si limitavano ad ascoltare quanto veniva detto loro sui vari rami del sapere senza ricevere ulteriori spiegazioni (il perché delle nozioni); e la seconda, che invece introduceva allo studio delle segrete e più elevate verità scientifiche, ossia alla conoscenza dei mathemata.
    L’importanza dei pitagorici è stata rilevante sia sul piano filosofico che su quello scientifico: essi hanno fortemente influenzato la nascita della mentalità scientifica e razionalistica della cultura occidentale.
    In particolare essi furono i primi veri fondatori della matematica: è stato osservato infatti che le precedenti teorie geometriche ed aritmetiche degli egiziani e dei babilonesi avessero in effetti un valore prevalentemente pratico mentre solo con i pitagorici la matematica divenne scienza teoretica pura “la matematica come teoria generale dei numeri e la scienza geometrica teoreticamente fondata e sviluppata furono creazioni dei pitagorici” (Reale).
    Anche per i pitagorici vale il discorso per cui tra pensiero filosofico e pensiero scientifico esisteva un continuo interscambio, una vera e propria osmosi, in quanto l’uno e l’altro erano le due facce necessarie della medesima razionalità.

    LA METAFISICA DEI NUMERI

    La scuola pitagorica è divenuta famosa nella storia per aver elaborato una metafisica dei numeri: i numeri cioè erano intesi come entità ontologiche originarie che stavano a fondamento del mondo fisico-sensibile.
    Come notò già Aristotele, per i pitagorici i numeri costituivano l’arché.
    Ma in che senso i numeri potevano costituire l’origine, l’essenza, la sostanza, la causa, il fondamento delle cose?
    Per rispondere a tale domanda occorre specificare in che modo i pitagorici concepivano il numero. Per essi infatti il numero non era un’astrazione simbolica, come lo è per noi, ma era invece una grandezza spaziale, era qualcosa di materiale ed esteso, era simile ad un punto fisico. Il numero pertanto era una realtà fisica, possedeva cioè una propria grandezza, tanto che veniva immaginato come un punto dotato di una minima estensione spaziale.
    I numeri quindi erano delle quantità misurabili che causavano e determinavano la realtà materiale dei corpi e degli oggetti, la realtà di tutti gli enti naturali: per tale motivo Aristotele affermò che il numero dei pitagorici “non è separato, anzi è il costitutivo immanente delle sostanze sensibili”. Non a caso i pitagorici rappresentavano l’unità attraverso un sassolino: aggiungendo altri sassolini si otteneva la serie dei numeri.
    Il pitagorico Filolao dimostrò ad esempio che dall’unità-punto si generavano tutti gli altri numeri e quindi tutti i corpi estesi (proprio perché esisteva una sostanziale analogia tra numeri e cose): infatti se all’1 corrispondeva il punto, al 2 corrispondeva una linea, al 3 una superficie (un triangolo), al 4 un solido (la piramide).
    Occorre precisare inoltre che l’aritmetica greca non conosceva lo zero.
    Nella mentalità pitagorica non era ancora presente la distinzione tra aritmetica e geometria (che si separeranno successivamente), tanto è vero che gli studiosi hanno definito la loro matematica con il termine aritmogeometria.
    Alla base della concezione aritmogeometrica c’era l’idea era che la quantità discontinua analizzata dell’aritmetica fosse indissolubilmente connessa alla quantità continua tipica della geometria: tutto era numero e i numeri determinavano le forme e i volumi.
    In altre parole le cose fisiche possedevano forme ben definite, riconducibili alle figure geometriche le quali, come abbiamo detto, derivavano a loro volta dall’aggregazione dei numeri naturali. Inoltre tutti gli enti, e tutte le figure geometriche corrispondenti, erano costituiti da un numero finito di punti, cioè di numeri.
    La stessa differenza esistente tra acqua, terra, aria, fuoco ed etere (il quinto elemento, presente nei cieli) era dovuta alla differente forma geometrica delle particelle materiali che costituivano gli elementi stessi.
    Alla luce di tutto ciò si comprende come mai i pitagorici potessero affermare che i numeri fossero l’arché, il fondamento della realtà, nonché la condizione essenziale della sua conoscenza.
    Partendo quindi dall’idea della sostanziale analogia, omogeneità e corrispondenza esistente tra numeri e cose, i pitagorici svilupparono la convinzione secondo cui, studiando le pure relazioni matematiche, si potessero spiegare in qualche modo anche i fenomeni della natura.
    Tale intuizione ha avuto una enorme importanza storica in quanto ha posto il fondamento scientifico dello studio della natura, collegando strettamente matematica e fisica.
    La scienza moderna, pur in un contesto teorico decisamente nuovo, ha confermato sostanzialmente la validità dell’intuizione dei pitagorici.

    LA GERARCHIA DEI NUMERI

    I numeri, d’altra parte, non erano equivalenti in quanto tra essi esisteva una gerarchia di valore: in primo luogo esisteva l’unità originaria, da cui derivava tutto l’universo numerico (e quindi lo stesso universo fisico).
    L’1 rappresentava l’origine in quanto non esisteva nulla che lo precedesse (lo zero non esisteva) ed inoltre esso costituiva l’unico numero indivisibile (non si poteva dividere l’unità originaria per la stessa ragione per cui non si poteva dividere un principio metafisico).
    Dalla moltiplicazione dell’unità si generavano, come abbiamo detto, gli altri numeri i quali si dividevano in due specie, due categorie qualitativamente diverse: i numeri pari e quelli dispari. Rispetto ad essi, l’uno risultava essere parimpari per il fatto che, aggiunto al pari, generava il dispari e aggiunto al dispari generava il pari.
    Quindi l’1, l’origine, non era classificabile né come pari né come dispari e possedeva le proprietà di entrambi.
    Questa coppia di opposti pari-dispari tuttavia presupponeva a sua volta una coppia ancora più originaria, quella dell’illimitato (o indeterminato) e del limitato (o determinato), due principi che si trovavano già in Anassimandro e Anassimene e in genere nel pensiero arcaico, anche se i pitagorici li utilizzarono all’interno della loro ontologia numerica.
    I numeri pari erano identificati con l’illimitato in quanto, se divisi per due, non davano alcun resto (alcun sassolino) che li limitasse, essi quindi sconfinavano in una sorta di indeterminatezza perché la divisione poteva continuare ad oltranza, non avendo alcun limite.
    I numeri pari avevano pertanto una forma aperta e indeterminata, e ciò acquistava un significato negativo di imperfezione.
    I numeri dispari invece, divisi per due, mettevano capo sempre ad una unità, ad un sassolino, non ulteriormente divisibile: quindi la divisione si arrestava di fronte ad un limite, e questo implicava che i dispari avessero una forma chiusa e determinata e fossero quindi superiori e perfetti. Infatti secondo la mentalità greca ciò che era illimitato e indeterminato era imperfetto perché non compiuto, non pensabile e non rappresentabile razionalmente.
    Nell’ambito di questa gerarchia c’erano anche altri numeri particolarmente significativi:
    - il 4 e il 9 (il quadrato del primo numero pari e del primo numero dispari) simboleggiavano ad esempio la giustizia, sulla base del ragionamento secondo cui giustizia significava attribuire parti uguali senza fare differenze (essi infatti formavano figure con i lati uguali);
    - il 5 (somma del primo numero pari e del primo numero dispari) simboleggiava invece il matrimonio e la generazione: infatti alla coppia dispari (positivo) e pari (negativo) corrispondeva la coppia maschio e femmina.
    I pitagorici primi infatti dall’opposizione originaria di limitato e illimitato fecero discendere altre nove coppie di opposti, formando così una tavola di 10 coppie di opposti fondamentali (non a caso 10, come vedremo):

    limite-illimitato;
    dispari-pari;
    uno-molteplice;
    destro-sinistro;
    maschio-femmina;
    quiete-movimento;
    dritto-ricurvo;
    luce-tenebra;
    bene-male;
    quadrato-rettangolo.

    In questa tavola, con cui si poteva conoscere ed interpretare tutta la realtà, il primo elemento della coppia era quello positivo e il secondo quello negativo.
    Infine c’era il 10, il numero sacro, la divina decade: esso era il numero perfetto rappresentato da un triangolo avente come lati il 4 (quattro sassolini) e contenente sia il pari che il dispari. Esso veniva visualizzato in una figura denominata Tetraktys (= gruppo dei 4), su cui i pitagorici prestavano i loro giuramenti.
    La Tetraktys riassumeva gli aspetti fondamentali della realtà in quanto all’1 corrispondeva il punto, al 2 la linea, al 3 la superficie, al 4 il solido.
    A proposito di questa simbologia mistica, occorre precisare che l’aspetto religioso non fu affatto secondario nella scuola pitagorica proprio perché i numeri possedevano un valore assoluto ed originario, quindi in un certo senso sostitutivo delle divinità tradizionali; in particolare l’1 aveva un significato teologico in quanto costituiva il principio attivo e “divino” dell’universo, che da esso derivava per un processo di distinzione regolato da rapporti matematici.
    L’Uno quindi non era solo una entità aritmetica in quanto principio della serie numerica ma era anche una sorta di divinità, razionalmente intesa, che esprimeva la suprema unità, coerenza e perfezione dell’essere.
    Questa numerologia mistica ha avuto poi grande influenza e sviluppo in tutta la storia della cultura occidentale.
    Schema della Tetraktys:









    Sulla questione delle coppie di opposti, c’è da aggiungere che alcuni seguaci di Pitagora, tra cui soprattutto Alcmeone, andarono ben al di là delle dieci coppie fondamentali, anzi ammisero l’esistenza di infinite contrarietà, nominate alla rinfusa (quindi senza un preciso criterio) man mano che venivano individuate e riconosciute.
    Soprattutto Alcmeone pervenne ad una posizione di “dualità aperta”, valida come visione generale e totale delle cose: la figura di Alcmeone fu decisiva nella storia della scuola pitagorica non solo per questa dottrina che estendeva la contrarietà ad ogni aspetto del reale, ma anche per la sua applicazione nel campo medico-scientifico: egli infatti fu uno studioso di medicina e di fisiologia umana.
    La tradizione storiografica ha attribuito proprio ad Alcmeone una scoperta scientifica importante, ossia la teoria secondo cui la sede ed il centro della sensibilità e delle emozioni fosse il cervello e non il cuore (come invece ritenevano Empedocle e la scienza medica del tempo): nell’uomo le diverse percezioni sensibili giungevano al cervello e lì si unificavano consapevolmente.
    Sul piano medico Alcmeone sostenne che la causa della salute e della malattia risiedesse nell’armonica o disarmonica mescolanza e proporzione delle qualità opposte presenti nell’uomo.

    LA CRISI DEL PRIMO PITAGORISMO

    Secondo una certa tradizione più o meno leggendaria, la teoria aritmogeometrica dei pitagorici primi sarebbe entrata in crisi con la scoperta dei numeri irrazionali: essa fu tenuta segreta e nascosta per molto tempo, fino a che un certo Ippaso di Metaponto, un pitagorico dissidente espulso dalla scuola, la rivelò all’esterno.
    Nella dimostrazione del teorema di Pitagora era emerso che la lunghezza della diagonale del quadrato, benché reale e ben determinata, non sempre poteva essere espressa mediante un numero intero, pari o dispari (incommensurabilità del rapporto tra lato e diagonale del quadrato). Erano comparsi i numeri irrazionali, numeri che apparivano indicibili, in quanto singolarmente né pari né dispari.
    Così venne meno non solo la fondamentale distinzione tra pari e dispari, ma anche l’idea che i numeri che costituivano le figure geometriche (e quindi le cose) fossero finiti, in quanto risultavano invece infiniti.

    MUSICA E COSMOLOGIA

    Le concezioni cosmologiche dei pitagorici furono strettamente connesse con la teoria della musica. I pitagorici furono i primi a studiare da un punto di vista scientifico la musica, anzi in un certo senso fu proprio cercando di spiegare l’armonia dei suoni che essi scoprirono l’armonia dei numeri.
    Essi capirono in particolare che i diversi suoni e le note avevano alla base un determinato rapporto quantitativo, quindi colsero la connessione esistente tra musica e numeri.
    D’altra parte non solo i suoni, ma tutti gli aspetti qualitativi delle realtà erano riconducibili a rapporti matematici.
    Così anche il cielo era strutturato secondo proporzioni e rapporti numerici: ad ogni corpo celeste corrispondeva un numero e il movimento regolare di essi era esprimibile matematicamente.
    I pitagorici arrivarono a sostenere che il movimento delle sfere celesti generasse un suono armonico, dolcissimo e bellissimo (l’armonia delle sfere), che però l’orecchio umano non riusciva a percepire in quanto non era mai intervallato da silenzi e pause: la differente distanza degli astri e la loro diversa velocità producevano dei suoni differenti, allo stesso modo in cui erano diversi i suoni prodotti dalle corde della lira.
    Esisteva dunque una musica cosmica divina da cui derivava quella umana, prodotta dall’anima attraverso gli strumenti.
    La musica pertanto, intesa come armonia dei suoni, non era considerata semplicemente come un fatto estetico ma costituiva una scienza vera e propria, in quanto consentiva di conoscere i rapporti quantitativi esistenti tra le cose.
    Per molti aspetti il modello astronomico pitagorico fu rivoluzionario in quanto non si basò sull’idea geocentrica, che era decisamente prevalente nella scienza greca: la teoria cosmologica dei pitagorici, così come la conosciamo oggi, deve essere attribuita soprattutto a Filolao e non ai pitagorici primi.
    Secondo quest’ultimo al centro dell’universo non c’era la Terra ma un fuoco o focolare (che però non era il Sole), la “divina Hestia”, come veniva chiamato: qui risiedeva il principio che reggeva il mondo, poiché solo al centro poteva trovarsi la forza che collegava le varie parti di un organismo. Intorno a tale fuoco ruotavano di moto circolare uniforme la Terra, la Luna, il Sole, e i 5 pianeti allora conosciuti (Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno).
    Infine c’era la sfera delle stelle fisse, la più esterna e lontana dal centro, che racchiudeva l’universo come in un involucro ed era chiamata Olimpo, circondato a sua volta da una sfera di fuoco.
    Per raggiungere il numero 10 (la Divina decade), quindi la perfezione che il cosmo rifletteva, essi ipotizzarono l’esistenza di un ulteriore pianeta, che chiamarono Antiterra, che secondo loro era situata tra il fuoco centrale e la Terra e che non era visibile in quanto la sua orbita e la sua posizione erano esattamente opposte a quelle terrestri.
    Pertanto, secondo Filolao, la Terra, come gli altri corpi celesti, era dotata di un moto di rivoluzione intorno al focolare e di un moto di rotazione intorno al proprio asse.
    Il modello astronomico di Filolao era dunque del tutto contrario al senso comune, alle superstizioni religiose e alla mentalità prevalente del suo tempo e costituì uno dei primi tentativi di spiegare in modo razionale e matematico il moto dei pianeti, l’alternarsi del giorno e della notte e delle stagioni, le eclissi ecc. La sua importanza fu riscoperta ed apprezzata dalla scienza moderna.

    PSICOLOGIA ED ETICA

    Anche la teoria pitagorica dell’anima fu strettamente connessa al tema dell’armonia musicale. L’anima infatti costituiva la parte armonica dell’essere umano, quindi la parte superiore. Se il corpo era composto da elementi diversi e opposti, l’anima in un certo senso ne rappresentava la sintesi armonica, l’armonia numerica.
    Si determinava così un dualismo (= contrapposizione tra due termini) tra anima armonica e superiore e corpo disarmonico e inferiore.
    I pitagorici aderivano d’altra parte alla teoria della metempsicosi (= reincarnazione) presente nella religione orfica (“orfica” in quanto basata sul mito di Orfeo).
    Quest’anima, di origine divina in quanto discendeva dal cielo, preesisteva dunque al corpo in cui si incarnava e, attraverso successive trasmigrazioni, doveva realizzare un processo di progressiva purificazione.
    Influenzati dall’orfismo, i pitagorici ritennero che il corpo costituisse una sorta di tomba o di carcere per l’anima, la quale aspirava a liberarsi da esso.
    L’anima pertanto sopravviveva alla morte del corpo ed era quindi immortale, ma essa tuttavia era costretta ad incarnarsi in corpi sempre diversi, quindi in esistenze successive, finché non avesse raggiunto uno stato di purezza completo che la rendesse degna di risalire al principio (la suprema unità, la suprema monade): solo allora le era consentito di non avere più contatti con il mondo materiale, inferiore ed impuro.
    Il processo di purificazione dipendeva dal tipo di vita che si conduceva sulla terra: ad esempio gli uomini che sviluppavano e praticavano la conoscenza e la sapienza dei numeri sicuramente procedevano sulla strada del perfezionamento, come pure quelli che guardavano alla vita terrena e alle cose sensibili con distacco.
    Infatti la dottrina morale pitagorica si ispirò ad un modello di esistenza ascetico-contemplativo che considerava i piaceri e gli interessi mondani come vane lusinghe, come disvalore, come male “le fatiche sono cosa buona, i piaceri sempre un male, perché, venuti al mondo per espiazione, dobbiamo espiare” (Giamblico).
    Non fu un caso infatti che il nume tutelare della vita pitagorica non fu Dioniso, il Dio dell’ebbrezza vitale e dell’orgia entusiastica, ma Apollo, il Dio della misura, dell’armonia e della conoscenza, a cui erano “sacre la ragione e la scienza”.
    La vita dedita alla conoscenza e alla ricerca della verità, allo sviluppo delle facoltà razionali, alla mortificazione e sottomissione degli istinti, alla pratica costante delle virtù costituì pertanto l’ideale etico della scuola pitagorica.











     
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  2. Clic_139
     
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    Davvero molto interessante...
    Mi interessava l'associazione del numero 2 alla donna e del 3 all'uomo...e ho anche trovato la spiegazione!
     
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1 replies since 9/10/2007, 14:07   865 views
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