Vita e opere di Pascoli

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    Giovanni Pascoli (1855-1912)
    Vita: ebbe un’infanzia traumatica per la morte del padre, della madre ,delle due sorelle e per le ristrettezze economiche. Studia nel collegio degli Scolopi e frequenta la facoltà di lettere a Bologna: qui si avvicina al socialismo e partecipa alle proteste contro il governo. Tra il 1876 3e il 1880 conosce Andrea Costa e assume posizioni sempre più radicali all’interno del movimento internazionalista. Nel 1879 viene arrestato e poi scarcerato grazie all’aiuto di Carducci. Questa esperienza lo allontana dalla politica e lo avvicina nuovamente agli studi: nel giro di poco tempo si laurea e va a insegnare a Matera; si distacca perciò definitivamente dalla famiglia e viene vissuto dal poeta in modo traumatico, dato il suo scopo fin da subito era quello di ricostruire il nido familiare con le due sorelle rimastegli. Nel 1895 una di queste si sposa e Pascoli lo vive come un tradimento, come una rottura di quel nido che era riuscito con sacrificio a ricostruire, per questo motivo il legame con l’altra sorelle diventa sempre più morboso e esclusivo, tanto che è costretto anche a rinunciare alla storia d’amore con Imelde Morri. Nel 1912 a causa di un tumore al fegato muore.

    Percorso letterario: è un continuo girare intorno al nucleo dell’angoscia infantile: ricerca sicurezze e affetto che gli erano mancati nell’infanzia. È il maggiore poeta italiano decadente; si avvicina alla semplicità e al simbolismo che ne facevano i francesi della lingua. La sua produzione è una continua elaborazione degli stessi temi, anche se troviamo nel corso degli anni un’evoluzione stilistica e possiamo dividerla in tre periodi uella di Myricae e dei Canti di Castelvecchio, dove vengono affrontati i temi della vita semplice e della campagna; quello dei Primi Poemetti che sono una sorte di romanzo georgico virgiliano e quello dei Poemi Conviviali in cui raccoglie le storie dei personaggi e dei miti dell’antichità. La prima raccolta è Myricae che inizia con una frase in latino dedicata al padre. L’uso del latino e il riferimento a Virgilio sta ad indicare uno stile perfetto e molto curato, il padre è il grande assente e ricorda l’abbandono senza possibilità di ritorno; nella prefazione parla di odio e di morte. I temi dominanti sono gli stessi dei Poemetti e dei canti di Castelvecchio: la famiglia, la vita modesta e il culto dei morti. Il linguaggio è pieno di simboli e di sensi allusivi infatti descrive piante e animali quasi come se fosse un botanico o uno zoologo. L’altro tema che ricorre è quello del nido, della protezione della casa e della famiglia in cui nulla può succedere e dove tutti sono protetti. Il nido può essere la bara, la nebbia, la culla, la patria vista come la grande famiglia che combatte i nemici, cioè gli stranieri (questa è la sua radice politica e alla stessa Italia dedicherà nel 1911, per la spedizione in Libia, la grande proletaria si è mossa). Il suo stile è pieno di flash, di quadri naturalistici che devono immediatamente proiettare il lettore all’interno della scena descritta; per ciò elimina le congiunzioni, i verbi sono usati in modo non tradizionale, e viene preferito il costrutto paratattico. È uno sperimentalista che vuole coinvolgere il lettore utilizzando la sua stessa sensibilità e sensualità: per far ciò usa sinestesie, onomatopee, allitterazioni ed effetti fonici per evocare il mondo che esso rappresenta fuori e dentro al lettore. I Canti di Castelvecchio sono una continuità di Myricae, la dedica però è rivolta alla madre; nella prefazione è ancora presente il tema della morte ma stavolta assume toni consolatori e teneri.

    La poetica del fanciullino: la tesi è che l’uomo è diviso in una parte che si modifica nel tempo e in un’altra che rimane immobile ed è quella del fanciullino che risuona nella poesia. Se questa però viene riferita alla crisi della ragione e dell’io assume un significato differente: se l’io normale non viene accettato la poesia diventa il luogo dell’altro io. In pascoli il discorso è universalizzato: il fanciullo è in tutti noi e non conosce differenze di classi sociali. Il poeta usa la regressione: ritorna all’infanzia vista come una fase di ingenuità e innocenza.
    A livello conoscitivo il f. non conosce le cose con le categorie della logica e della ragione ma con l’istinto. L’io e la natura sono fuse; non c’è distinzione tra soggetto e oggetto. La sua conoscenza si basa sulla meraviglia. Il f. è il nuovo Adamo che dà i nomi alle cose per la prima volta.
    A livello delle sensazioni queste sono capovolte: il grande è piccolo, il buio è visibile…la scissione dell’io diventa dissociazione sensoriale e ciò si traduce in poesia con la sinestesia(accostamento di parole che appartengono a sensi diversi) e con l’onomatopea. Il poeta dunque regredisce.
    A livello dei sentimenti questi sono capovolti e il f. ha un duplice ruolo: uno ideologico che diventa una sorta di interclassismo dei sentimenti e uno personale che rievoca il pascoli bambino che rifiuta di crescere. La regressione si lega anche alla sessualità che è assente nel f. in quanto puro. La poetica del f. da universale diventa personale.
    A livello della poesia questa deve essere pura e quindi senza fini morali, sociali e politici. Pascoli sceglie la direzione dell’arte per l’arte, che essendo pura alla fine ha una funzione morale poiché risveglia il f. che è in ogni uomo. Pascoli è un decadente che utilizza il tema della fuga, della poesia pura e la ricerca del prelinguistico.

    La mia sera: è una poesia della memoria. La tempesta è la vecchiaia, è quella della vita che si affievolì con la sera, quando ritorna la pace dell’infanzia. Questa poesia deve essere letta considerando il fanciullino: nella sera torna la voce del fanciullo e la poesia è l’unione tra la voce del vecchio e il chiacchiericcio dei bambini. Nella prima strofa la natura si anima attraverso i tempi verbali e le onomatopee. La seconda strofa trasforma la sera in passaggio della memoria che compare con il suono del ruscello. La tempesta che sembrava infinita è diventata finita nel suono di quello stesso ruscello. Tutto si rasserena. La strofa finale è molto elaborata: inizia con il suono delle campane, i verbi vanno dal preciso all’indistinto. Tutto, grazie all’ossimoro e alla sinestesia, si trasforma in una dolce ninnananna. La parola chiave è “nidi” (metonimia-il contenene per il contenuto).

    X agosto: il tema è quello della morte del padre. Le stelle cadenti si trasformano nel pianto del cielo. Le strofe sono legate tra di loro con un’analogia proporzionale a quattro termini: la morte della rondine ala famiglia abbandonata come quella dell’uomo sta all’attesa dei suoi figli. C’è anche un richiamo religioso. Il male di cui lui parla è universale ed è quello della sofferenza umana.

    Il gelsomino notturno: celebra la procreazione e la prima notte di nozze anche se non ci sono riferimenti espliciti. La procreazione è rappresentata dal gelsomino-donna- che di notte si apre. Il poeta-bambino è però estraneo al fatto: nel tempo dell’amore lui pensa ai defunti.

    Temporale/il lampo:
    nella prima descrive una tempesta che si sta avvicinando, nella seconda l’attimo in cui il lampo acceca l’occhio. La prima si apre con un’onomatopea che indica l’eco lontano di una minaccia. L’unica salvezza nella tempesta è il casolare. È il nido. Nella seconda poesia domina il senso della vista: anche qui l’unico riparo è il casolare bianco. Il fanciullino non è in armonia con la natura ma deve fuggire da essa e rintanarsi nel suo rifugio.





    ANALISI TESTUALE DE “IL TUONO” E “IL LAMPO”


    1 Il significato

    • Nel secondo componimento, il rumore intenso ed improvviso di un tuono pone fine al silenzio che incombe sulla terra. Questo trambusto provocato dal tuono dura poco perché viene sostituito dal canto di una madre e dal dondolare di una culla.
    In questa ballata il tuono simboleggia il male che ci circonda mentre il canto della madre e il movimento della culla simboleggiano il ritorno della vita alla sua normalità.
    • Le due poesie descrivono in modo soggettivo la realtà perché l’autore, ricorrendo all’utilizzo di aggettivi, ci mostra la sua concezione sul mondo, il suo mondo simbolico.
    • Nel primo componimento, gli aggettivi attribuiti alla terra e al cielo rappresentano quest’ultimi come una donna e un uomo, entrambi atterriti, spaventati, turbati da quanto accade.
    • La similitudine dell’occhio, considerato come a sé stante, isolato dal volto e quasi ingigantito, suscita nel lettore un senso di profonda angoscia, che si può riscontrare in tutto il componimento. Inoltre l’immagine dell’occhio, isolato dal volto, evoca nel lettore anche un senso d’impotenza: l’occhio può vedere tutto ciò che lo circonda ma non può fare nulla per cambiarlo (l’occhio tutto vede ma nulla può).


    3 La rima
    IL LAMPO

    • Era-nera: rapporto di opposizione Le due “parole-rima” in sé stesse non
    dicono niente, ma se si analizzano i due
    versi a cui appartengono (E cielo e terra
    si mostrò qual era:...) (…s’aprì, si
    chiuse, nella notte nera.) si può percepire
    l’opposizione tra la volontà di conoscere
    e la volontà di non sapere.
    • Sussulto-tumulto: rapporto di affinità
    • Disfatto-esterrefatto: rapporto di affinità Il primo termine indica una distruzione
    mentre il secondo termine indica un senso di sbigottimento.

    IL TUONO

    • Nulla-culla: rapporto di opposizione Il nulla evoca l’oscurità, il male che è
    presente nel mondo, mentre la culla
    simboleggia la vita e la sua bellezza.
    • Dirupo-cupo: rapporto di affinità Il dirupo è qualcosa di estremamente
    pericoloso, invece cupo è qualcosa di oscuro, lugubre, terrorizzante: entrambe le parole incutono paura.
    • Schianto-canto: rapporto di opposizione Lo schianto fa pensare ad un rumore
    noioso, fastidioso, mentre il canto evoca un suono dolce.

    4 Il ritmo

    ▼ ▼ ▼
    E / cie / lo e / ter / ra // si / mo / strò / qual / e / ra:
    ▼ ▼ ▼
    la / ter / ra an / san / te, // li / vi / da, in / sus / sul / to
    ▼ ▼ ▼ ▼
    il / cie / lo in / gom / bro, // tra / gi / co, / dis / fat /to:
    ▼ ▼ ▼ ▼
    bian / ca, / bian / ca / nel / ta / ci / to / tu / mul /to
    ▼ ▼
    una / ca / sa ap / pa / rì // spa / rì / d’un / trat / to;
    ▼ ▼
    co / me un / oc / chio / che, / lar / go, e / ster / re / fat / to,//
    ▼ ▼ ▼
    s’a / prì / si / chiu / se, // nel / la / not / te / ne / ra.


    Legenda:


    cie = ictus o accento ritmico
    // = cesura

    5 Effetti sonori: allitterazione, onomatopea, assonanza e consonanza

    IL LAMPO

    E cielo e terra si mostrò qual era:

    la terra ansante, livida, in sussulto

    il cielo ingombro, tragico, disfatto:

    bianca, bianca nel tacito tumulto

    una casa apparì sparì d’un tratto;

    come un occhio, che, largo, esterrefatto,

    s’aprì si chiuse, nella notte nera.


    ASSONANZE:

    era / nera sussulto / tumulto
    CONSONANZE:

    disfatto / esterrefatto

    ONOMATOPEE:

    tacito tumulto in sussulto

    IL TUONO

    E nella notte nera come il nulla,

    a un tratto, col fragor d’arduo dirupo

    che frana, il tuono rimbombò di schianto:

    rimbombò, rimbalzò, rotolò, cupo,

    e tacque, e poi rimareggiò rifranto,

    e poi vanì. Soave allora un canto

    s’udì di madre, e il moto di una culla.

    ASSONANZE:

    nulla / culla dirupo / cupo schianto / rifranto

    CONSONANZE:

    schianto / canto

    ONOMATOPEE:

    fragor rimbombò tacque canto


    Analisi del testo “Il lampo” di Giovanni Pascoli


    Nella natura sconvolta dal temporale, il lampo illumina fulmineamente la notte, rivelando all’osservatore cielo e terra, mostrando “d’un tratto” una casa nel buio.
    Il verso iniziale, isolato, ma introdotto da una congiunzione che sembra ricollegarlo a qualcosa di precedente, posto come fosse un titolo, assume il tono di una sentenza biblica. All’inizio cielo e terra appaiono uniti, ma dal secondo verso c’è come una frattura tra i due.
    La casa, che appare in quel breve attimo, può essere letta come un “porto sicuro”, circoscritto in un momento di stabilità nello sconvolgimento del paesaggio e della natura. Anche la stessa iterazione dell’aggettivo “bianca” contribuisce a dare questa momentanea valenza di tranquillità, anche perché appare contrapposta al “nera” del verso 7. ma il “porto sicuro” è un’immagine subito effimera, poiché dura solo un istante, per poi scomparire nell’oscurità.
    Rispetto al primo, i versi 2 e 3 sottolineano la scissione dei due elementi, rispettivamente la terra e il cielo, prima riuniti in un unico verso sentenzioso, caricandosi di un proprio forte valore, accentuato da 3 aggettivi concatenati, accompagnati ad essi. Questa terna di aggettivi non è usata dal Pascoli per descrivere od oggettivare la natura, ma piuttosto sono la proiezione dello stato d’animo dello stesso poeta. E l’immagine così umanizzata, ci rivela una terra agonizzante e un cielo abbattuto, puro caos. La concatenazione dei tre aggettivi, da dunque vita ad un climax ascendente, che dà alla realtà un carattere più umano ed anche sconvolto, quasi sofferente.
    E’ l’ossimoro, ovvero la contrapposizione di due termini opposti, che dà rilievo, anche con l’allitterazione della T, all’espressione “tacito tumulto”.
    Il “come” del verso 6 fa paragonare la casa ad un “occhio”, che si apre e chiude fulmineamente per ricevere una tragica realtà. L’occhio è dunque la metafora della vita umana che si svolge in modo inconsapevole, finché una disgrazia non offre, così, la coscienza della realtà. Lo stesso aggettivo “esterrefatto” ne evidenzia la negatività, mostrando lo stupore, ma anche il timore, per questa natura, negativa, rivelata.
    Le immagini usate dal poeta non sono di tipo logico-razionali, poiché sono utilizzate per dare una caratterizzazione psicologica e umana alla natura: infatti la terra appare “ansante” e il cielo “disfatto”. La stessa casa diviene occhio, che si apre e chiude nella notte.
    La lirica vuole apparire come una descrizione paesaggistica nello sconvolgimento naturale, ma è piuttosto lo specchio del sentire del Pascoli, l’immagine di come il poeta percepisce la natura. Ed è una visione negativa che si insinua tra i versi della poesia e che mostra come il poeta coglie la realtà.
    I versi impiegati sono endecasillabi con scema A BC BC CA. per questa organizzazione e struttura dei versi e per la presenza di un verso isolato dagli altri che rima con l’ultimo, appare evidente il riferimento alle ballate, forme metriche della produzione lirica delle origini.
    I versi 4 e 5 rivelano andamenti ritmici differenti: il verso 4 ha un ritmo lento, dovuto all’ iterazione dell’aggettivo “bianca”, mentre il verso 5, senza alcun segno di punteggiatura, è più scorrevole e veloce, questo grazie anche alla rima interna “apparì sparì”.


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    Nebbia


    Nascondi le cose lontane,
    tu nebbia impalpabile e scialba,
    tu fumo che ancora rampolli,
    su l'alba,
    da' lampi notturni e da' crolli,
    d'aeree frane!

    Nascondi le cose lontane,
    nascondimi quello ch'è morto!
    Ch'io veda soltanto la siepe
    dell'orto,
    la mura ch'ha piene le crepe
    di valerïane.

    Nascondi le cose lontane:
    le cose son ebbre di pianto!
    Ch'io veda i due peschi, i due meli,
    soltanto,
    che danno i soavi lor mieli
    pel nero mio pane.

    Nascondi le cose lontane
    Che vogliono ch'ami e che vada!
    Ch'io veda là solo quel bianco
    di strada,
    che un giorno ho da fare tra stanco
    don don di campane...

    Nascondi le cose lontane,
    nascondile, involale al volo
    del cuore! Ch'io veda il cipresso
    là, solo,
    qui, quest'orto, cui presso
    sonnecchia il mio cane.

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    Analisi testuale

    Schema metrico:

    5 strofe di 6 versi ciascuna: 3 novenari + 1 ternario + 1 novenario + 1 senario. Rime: ABCBCA. Tutti i senari rimano tra loro.

    Figure di ripetizione:

    * Il primo verso di ogni strofa è sempre lo stesso: «Nascondi le cose lontane». Inoltre questa formula viene ripresa in altri versi: troviamo nascondimi al v. 8 e poi nascondile al v. 26.
    * Il 2¡ e il 3¡ verso formano una lieve anafora con la ripetizione del pronome «TU» seguito da due nomi, entrambi quasi sinonimi (Tu nebbia... Tu fumo...).
    * Anche la formula: « ch'io veda soltanto » è ripetuta più volte, con leggere varianti: la troviamo al v. 9, poi ai vv. 15-16, di nuovo al v. 21 ed infine al v. 27.
    * Al v. 26 abbiamo un esempio molto bello di figura etimologica e insieme di allitterazione: «involale al volo».

    Lo spazio:

    * La lontananza: è piena di cose che vanno tenute nascoste (vv. 1, 7, 13, 19 e 25), di cose morte (v. 8), che fanno piangere (v. 14), che «vogliono ch'ami e che vada» (v. 20). Per il poeta, quello che è lontano è dunque negativo, è qualcosa che deve essere represso, dimenticato, perché fa soffrire e, cosa interessantissima, perché costringe ad amare e «andare», ad uscire dal nido, cioè a vivere. Il poeta esprime la sua paura di fronte all'ignoto del mondo esterno.
    * La vicinanza: è composta da poche, essenziali presenze: una siepe (v. 9) e un muro (v. 11) che svolgono il ruolo di delimitare lo spazio ristretto intorno all'IO, due peschi e due meli (v. 15), una strada bianca (vv. 21-22), un cipresso (v. 27), un orto (v. 29) e un cane (v. 30), simbolo per eccellenza della fedeltà, dell'amicizia, della sicurezza. Questo piccolo mondo è lo spazio dell'IO, lo spazio privato e soprattutto protetto in cui rinchiudersi per evitare «le cose lontane», l'ignoto e la negatività del mondo esterno. Il «qui» del v. 30, che riassume in sé tutto il mondo vicino, è messo particolarmente in rilievo dal fatto che è posto ad inizio del verso, e che è rinforzato dal successivo «questo».

    Altri temi importanti:

    * Tra lo spazio vicino e quello lontano si trova la nebbia, che svolge un ruolo importantissimo perché è ciò che permette di separare questi due mondi, e quindi di assicurare al poeta la serenità. La nebbia svolge il suo ruolo protettivo grazie alla sua capacità di nascondere le cose, e quindi di rispondere al desiderio del poeta, più volte espresso, di non vedere (vedi la costante ripetizione del tema «Ch'io veda soltanto»).
    * La morte: riguardo alla morte il poeta prova dei sentimenti contraddittori. Da un lato per lui quello che è morto va celato e rimosso, perché triste e doloroso (vv. 6-7 e 13-14); ma dall'altro egli si sente legato ad essa perché sa che è l'ultimo, inevitabile rifugio dell'uomo. In altre parole, se è vero che la morte è triste e dolorosa perché racchiude un passato da dimenticare (le cose lontane), è altrettanto vero che essa è l'unica prospettiva indolore per l'uomo affranto, nella misura in cui gli offre un sonno, un riposo eterno. Il poeta sa che un giorno dovrà morire pure lui (dovrà fare «quel bianco di strada [...] tra stanco don don di campane» - vv. 21-24), e questa è la sola prospettiva che vuole intravedere per il proprio futuro («Ch'io veda là solo quel bianco di strada» - vv. 21-22). Ad accentuare questo aspetto positivo della morte come di un sonno eterno ed indolore abbiamo, nell'ultimo verso, la figura del cane fedele che sonnecchia. L'idea della stanchezza, del sonno e della morte si trovano così ad essere intimamente legate.
    * La natura: che sia vegetale, animale o minerale, ha un ruolo protettivo per il poeta, e tiene lontana la visione del pianto, del mondo esterno, violento e ostile. Così, la siepe, l'orto e i quattro alberi riempiono di dolcezza il nero pane del poeta, cioè la sua vita quotidiana; il cane fedele offre un immagine insieme di pace, affetto e protezione; la nebbia è un fenomeno meteorologico positivo; e, allo stesso modo, i «lampi notturni» e i «crolli d'aeree frane» della prima strofa, pur nelle loro sembianze violente, non toccano affatto il poeta, che ne trae unicamente una visione suggestiva.

    Osservazioni conclusive:

    * Le frequenti figure di ripetizione, la presenza di ritornelli sono una costante nella poesia di Pascoli, e gli danno un ritmo cantilenante. Spesso leggendo queste poesie si ha l'impressione di trovarsi di fronte ad una canzone, o più precisamente ad una nenia, dolcemente recitata. Questo loro aspetto musicale (che ne rende spesso difficile la lettura ad alta voce) rispecchia perfettamente il tipo di contenuto che veicolano: il poeta malinconico esprime un forte bisogno d'affetto e di protezione, quasi come se fosse un bambino, e la poesia, col suo ritmo cantilenante, fa le veci di una figura materna, simbolo per eccellenza di amore e protezione.
    * Il fatto che la poesia si sviluppi sulla base di una contrapposizione tra mondo esterno e mondo privato, e che il primo sia connotato negativamente, mentre il secondo positivamente, è un'altra costante in Pascoli. Ciò si ricollega al bisogno di affetto e protezione, per cui, proprio come un bambino, il poeta sente la necessità di rinchiudersi in un nido e sfuggire ai pericoli della vita, rifiutando persino di "andare" ed "amare" («Nascondi le cose lontane che vogliono ch'ami e che vada!» - vv. 19-20).
    * Diretta conseguenza delle osservazioni precedenti, troviamo espresso in questa poesia il rifiuto, forse inconsapevole, di crescere, di diventare adulto, attraverso la parola di un IO-bambino. Al di là della sua apparente semplicità e ingenuità, la poesia di Pascoli nasce dall'esigenza dolorosa e lacerante di dar voce a sentimenti intimi e remoti, di regredire verso un passato prenatale.
    * La poesia è espressione di un IO poetico molto forte, la cui presenza è dominante. Questo ruolo dominante è accentuato dal fatto che, in tutta la poesia, non si parla mai degli uomini: le uniche presenze ammesse fanno parte del mondo naturale.
    * Le descrizioni del piccolo mondo chiuso in cui si trova il poeta si caratterizzano per un forte determinismo: il muro non è coperto da un generico rampicante, ma dalle valerïane (v. 12), gli alberi nell'orto non sono soltanto specificati in numero (due..., due...), ma anche in genere (peschi e meli) (v. 15). Questa estrema precisione nella denotazione dovrebbe creare un effetto assolutamente realistico dell'ambiente descritto. In realtà queste descrizioni, poiché sono inquadrate in uno sfondo imprecisato e indeterminato (dove siamo? in che periodo? ecc.) e introdotte da una prima strofa dal contenuto altrettanto sfocato (la nebbia, il fumo, le aeree frane), accentuano l'aspetto simbolico della poesia.

    La mia sera
    La poesia La mia sera é stata scritta nel 1903 da Giovanni Pascoli ed é tratta dalla raccolta “Canti di Castelvecchio”.

    PARAFRASI
    Durante il giorno ci furono molti lampi ma ora verranno le stelle, le silenziose stelle. Nei campi c’è un breve gre gre prodotto dalle rane. Una brezza leggera fa tremare, come un brivido di gioia, le foglie dei pioppi. Nel giorno, che lampi! Che scoppi! (Invece) che pace la sera!
    Devono sbocciare le stelle nel cielo così tenero e dolce. Là, vicino alle allegre rane, un ruscello scorre producendo un gorgoglio simile ad un singhiozzare sempre uguale. Di tutto quel rumore violento ,di tutta quell'impetuosa bufera, non resta che un dolce singhiozzo nella sera umida. Quella tempesta che sembrava non finire mai, è terminata in un ruscello che ora produce un suono melodioso. Al posto dei fulmini restano delicate nuvolette colorate di porpora e d'oro. O dolore stanco , placati! La nuvola che durante il giorno appare più carica di tempesta è la stessa che vedo più rosa quando la sera sta per finire. Che bello ammirare il volo delle rondini intorno! Che bello udire i rumori nell'aria serena! La fame patita durante il temporale rende la cena più lunga e festosa. La loro porzione di cibo,nonostante fosse così piccola, i rondinotti durante il giorno non l'ebbero per intero. Nemmeno io... e dopo le ansie e i dolori ,mia limpida sera! Don... Don... Le campane mi dicono, Dormi! Mi cantano, Dormi! Sussurrano, Dormi! Bisbigliano, Dormi!Là le voci del buio azzurro della notte... Mi sembrano canti di culla, che mi riportano all'infanzia... sentivo mia madre... poi nulla... sul far della sera.

    COMMENTO
    Questa poesia é suddivisa in 5 strofe di 8 versi ciascuna. I versi sono tutti novenari tranne gli ultimi di ogni strofa che cono senari e sono chiusi sempre dalla parola sera. La rima é alternata e segue principalmente lo schema ABABCDCD; però non tutte le strofe (es: 3°strofa) seguono questo schema.
    Nel 3 verso c’è una sinestesia “tacite stelle” perché le stelle non possono essere silenziose e il poeta con questa espressione vuole indicare la tranquillità di quando in cielo ci sono le stelle ossia durante la sera. Nel verso 4 c’è un onomatopea “breve gre gre di ranelle”, con questa espressione il poeta crea molta musicalità e inoltre con l’allitterazione della lettera r rende il suono più cupo, più dolce e più acuto. Nel verso 19 c’è un onomatopea “don….don” che riproduce il suono delle campane. Nel verso 29 c’è una sineddoche “i nidi” perché con l’espressione nidi lui si riferisce ai rondinotti che stanno dentro i nidi.
    L’autore immagina una sera estiva dopo un temporale e descrive le silenziose stelle e i campi, nei quali si sentono le rane, mentre arriva la quiete della sera . Con questa poesia l’autore vuole fare un paragone tra il temporale e la pace della sera, cioè paragona il temporale alla vita travagliata (perdita del padre e della madre) e la sera ad un momento di pace della sua vita.



     
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