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A ZACINTO
Né più mai toccherò le sacre sponde
Ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
Del greco mar da cui vergine nacque
Venere, e fea quelle isole feconde
Col suo primo sorriso, onde non tacque
Le tue limpide nubi e le tue fronde
L'inclito verso di colui che l'acque
Cantò fatali, ed il diverso esiglio
Per cui bello di fama e di sventura
Baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
Tu non altro che il,canto avrai del figlio,
O materna mia terra; a noi prescrisse
Il fato illacrimata sepoltura.
Parafrasi: Non toccherò mai più le sacre rive dove il mio corpo di fanciullo riposò, o mia Zacinto, che ti specchi nelle onde del mare della Grecia, dal quale Venere nacque vergine., e rese feconde quelle isole col suo primo sorriso , per cui scrisse delle tue limpide nubi e della tua vegetazione, il famoso verso del poeta Omero, colui che, nell'Odissea, cantò i viaggi per mare voluti dal Fato e l’esilio in mille luoghi diversi, attraverso cui Ulisse, reso bello dalla gloria e dalla sventura, infine baciò la pietrosa isola di Itaca, sua terra natia. O Zacinto, mia terra materna, tu invece non avrai altro che questo canto scritto da tuo figlio, perché il destino ha stabilito per me una sepoltura senza il compianto delle persone care.
ANALISI DEL TESTO
ANALISI DELLA POESIA A ZACINTO
A livello metrico - ritmico il sonetto si presenta contraddistinto da forti cesure sintattiche (ribadite dalla punteggiatura) e da numerosi enjambements (spezzature): tali elementi sembrano conferire il senso del lento snodarsi e approfondirsi di una meditazione più complessa, attraverso la quale il poeta giunge a definire il significato della propria vita.
A livello fonico si evidenzia la serie delle rime in –ONDE e –ACQUE, che, comunicando la sensazione del cullarsi nell’acqua e nel vento, contribuisce all’effetto di rifrazione dovuto allo specchiarsi di Zacinto nelle onde del Mare e al suo svanire in un gioco di riflessi e suggestioni (Venere che nasce dal mare, Omero, Ulisse). Degna di nota è l’allitteranzione delle lettere C, I e L dei versi 8-9: L’InCLIto verso dI CoLuI Che L’aCque Cantò fataLI; l’effetto creato è quello di una pura e dolce melodia che, riferita alla poesia di Omero, ne esalta la fluida freschezza.
A livello morfosintattico (strutturazione dei periodi, combinazione delle parole, uso di elementi di diversi registri linguistici) si può osservare che la congiunzione né (e non) posta all’inizio sembra segnare il momento conclusivo di un’intima meditazione, che si snoda secondo uno stringente e complesso ordine sequenziale (ove… che… da cui… che… per cui…).
Tra le figure retoriche di significato si distingue la grande metafora della terra – madre, che diventa mito (ossia un fatto esemplare idealizzato): è il mito della Grecia classica, incarnazione di un ideale di bellezza, di piena e totale armonia. E nel mito classico c’è il grande mito di Omero, della poesia cioè che rende perenni l’eroismo e i valori più alti.
L’evidenziazione delle parole – chiave consente alcune considerazioni. Per evidenziare tali parole ci si può attenere al criterio della frequenza e a quello delle relazioni già istituite dal poeta, attraverso il gioco delle rime ad esempio. Applicando tale criterio, si distinguono le seguenti parole:
Zacinto mia/ materna mia terra
cantò/ canto del figlio
l’acque fatali/ a noi prescrisse il fato
degne di nota le parole esIGLIO/fIGLIO e svenTURA/sepolTURA (illacrimata), legate dalla rima evidenziata.
L’appartenenza del figlio alla terra madre, la grande poesia che immortala l’eroismo, l’esilio “fatale”, voluto cioè dal destino (avverso), unitamente alla “sventura” di una sepoltura in terra straniera (illacrimata): sembrano questi i temi fondamentali della poesia.
L’esilio appare una condanna irrevocabile: è il decadere da una originaria pienezza di vita, sintetizzabile nella formula Natura – Amore – Bellezza (il mito di Venere fecondatrice). Questa triade si collega attraverso Omero e Ulissa a un’altra, che si potrebbe definire Amore – Poesia – Eroismo: Omero celebra Zacinto per la sua bellezza e, insieme, celebra Ulisse, il cui eroismo è espressione anch’esso di una vita protesa verso un ideale di armonia. Ulisse è bello per la gloria che gli viene dall’aver affrontato eroicamente un destino di sventura e di sofferenza (morale eroica). Da questa stessa sventura nasce il canto del figlio, ossia la poesia di U. Foscolo: la gloria di poeta (la fama) è “pagata” con la sventura dell’esilio e dalla sepoltura illacrimata. E’ fin troppo evidente che Ulisse e Omero sono simboli di due grandi ideali che Foscolo pretende di incarnare: quello della vita eroica e quello della grande poesia dispensatrice di fama e “immortalità”.
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Justick.
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mariodemaio.
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ma perchè va a zacinto?
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