LA RESTAURAZIONE E IL CONGRESSO DI VIENNA (1814-1815)

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  1. *la_debbO*
     
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    LA RESTAURAZIONE E IL CONGRESSO DI VIENNA (1814-1815) (sintesi e integrazione)

    Con il Congresso di Vienna iniziò quella fase della storia politica europea definita dagli storici con il termine di Restaurazione.
    Cosa si intendeva con questa parola? In generale essa indicò il tentativo di restaurare l’ancient regime, ossia il sistema politico, economico e sociale assolutista e feudale esistente prima della rivoluzione.
    La Restaurazione praticamente tentò di cancellare venticinque anni circa di storia rivoluzionaria, anni che avevano cambiato in modo irreversibile il volto dell’Europa. Tuttavia c’è da dire che molti degli stessi fautori della Restaurazione furono ben consapevoli che fosse impossibile riportare completamente indietro l’orologio della storia, perché alcuni dei principi giuridici e politici della Grande Rivoluzione erano ormai diventati patrimonio comune consolidato della società occidentale europea.
    Così che gli stessi oltranzisti (= estremisti) della Restaurazione di fatto finirono per accettare alcune fondamentali novità introdotte dalla rivoluzione, come ad esempio il nuovo concetto borghese di proprietà privata, basato sul principio dell’alienabilità (ossia vendibilità) e divisibilità dei patrimoni.
    A Vienna, tra il 1814 e il 1815, le maggiori potenze europee vincitrici delinearono i confini geopolitici della nuova Europa: i grandi protagonisti del Congresso furono l’austriaco Metternich, uno dei massimi fautori della Restaurazione, il ministro degli esteri inglese Castlereagh,Talleyrand, il rappresentante della nuova Francia borbonica e Hardenberg, ministro prussiano. Significativo fu il fatto che a Vienna fosse accettata la presenza al tavolo delle trattative della Francia sconfitta.
    Decisivo in quella occasione fu il ruolo svolto da quell’abile diplomatico che era Talleyrand, il quale riuscì a far passare l’idea che la Francia borbonica non fosse da ritenere minimamente responsabile degli atti compiuti dai rivoluzionari e da Napoleone, dal momento che essa stessa era stata vittima di tali eventi, quindi non doveva pagare per responsabilità che non le appartenevano.
    Del Congresso di Vienna occorre ricordare in particolare i due principi a cui si ispirarono le potenze: legittimità ed equilibrio. In base al principio di legittimità dovevano ritornare di diritto sui troni quelle dinastie che occupavano i vari regni e ducati prima di essere scalzate dalla rivoluzione e da Napoleone. Il principio dell’equilibrio invece stabiliva che, nella distribuzione di territori e troni, bisognava evitare che una dinastia o una delle grandi potenze potesse avvantaggiarsi troppo sulle altre e che tutte le future spartizioni fossero decise e approvate nell’ambito di congressi internazionali che dovevano essere convocati periodicamente e nei quali non dovevano essere alterati gli equilibri di forze stabiliti a Vienna nel 1814-1815 (fu questo il concetto del “concerto europeo”).
    Inoltre furono molto importanti e significative le due alleanze politico-militari che si stipularono: la Santa Alleanza tra Austria, Russia e Prussia, basata non solo sulla difesa dei principi cristiani ma anche e soprattutto sul principio dell’intervento, ossia sul diritto di questi Stati di attuare una comune politica di repressione dei nuovi movimenti liberali e costituzionali (che chiedevano cioè la concessione di Costituzioni ispirate al modello inglese o alla Costituzione spagnola del 1812), e dei nascenti movimenti nazionali (che chiedevano cioè l’indipendenza nazionale di quei popoli ancora sottomessi al dominio degli imperi multinazionali esistenti); e la Quadruplice Alleanza, tra Austria, Russia, Prussia ed Inghilterra, che cercò di attuare il cosiddetto “concerto europeo” soprattutto in funzione antifrancese, cioè per impedire una possibile nuova egemonia francese (bisogna dire però che negli anni Venti anche la Francia borbonica fu ammessa come quinta potenza nel concerto europeo).
    Il limite più grave del Congresso di Vienna fu costituito dalla mancata consapevolezza, da parte di regnanti e governanti, che ormai i principi di libertà e di nazionalità, affermatisi con la Grande Rivoluzione e con Napoleone, non potessero essere più ignorati e cancellati dalla coscienza degli europei; molti popoli, oppressi da secoli, chiedevano di potersi finalmente costituire in nazioni libere e indipendenti e di darsi Costituzioni liberali e democratiche.
    Ma il Congresso di Vienna finse di ignorare queste nuove esigenze e creò così le premesse delle ondate insurrezionali che si ebbero nella prima metà del XIX secolo. Per tali ragioni, in sede storiografica, si suole affermare che la prima metà dell’800 fu l’età delle nazioni e dei popoli, i quali si opponevano a quegli imperi multinazionali (ottomano, asburgico, russo) che appartenevano ad un passato ritenuto ormai tramontato per sempre.
    Ad esempio solo l’impero asburgico conteneva al suo interno queste nazionalità: italiani, tedeschi, cechi, ungheresi, slavi ecc. Il Congresso di Vienna invece, ignorando tale realtà, disegnò una geografia politica dell’Europa basata non sulla volontà dei popoli ma sulle pretese territoriali delle varie dinastie: si stabilirono così confini geopolitici che costrinsero a vivere insieme gruppi etnico-linguistici che non si tolleravano e che tendevano anzi ad imporre la propria egemonia sugli altri. Questa situazione era particolarmente grave nell’area balcanica, dove le aspre e secolari rivalità etniche (tra musulmani, cattolici e ortodossi) si sommavano alle mire espansionistiche della Russia e dell’Austria.
    Il groviglio irrisolto di problemi politici, etnici e territoriali relativi a quest’area geografica così tormentata si trascinò fino alla prima Guerra mondiale. Basti pensare che solo nel corso del XIX secolo si ebbero ben tre guerre russo-turche, dovute al fatto che la Russia cercava di appropriarsi di alcuni territori ottomani per poter acquisire l’accesso al Mediterraneo.
    Pertanto la miopia politica dimostrata dal Congresso di Vienna contribuì sicuramente a causare le ondate di moti liberali e nazionali che si ebbero nel 1820-21, nel 1830-31 e infine nel 1848-49, il famoso biennio rivoluzionario, che squassò l’Europa e coincise con la prima Guerra di indipendenza italiana.
    Anche l’Italia naturalmente fu coinvolta nel riordino voluto dalle potenze vincitrici: essa fu divisa in 8 entità statali piccole e medie, gran parte delle quali dipendenti direttamente o indirettamente dalla dinastia asburgica. Solo il Regno di Sardegna, lo Stato pontificio e il Regno delle Due Sicilie erano realmente indipendenti.

    RESTAURAZIONE E SETTE SEGRETE

    Le nuove idee e i principi della Rivoluzione francese furono esportati in Europa da Napoleone: il celebre generale corso, anche suo malgrado, contribuì a diffondere i principi della Rivoluzione soprattutto nei paesi ancora sottomessi a regimi assolutistici e feudali. Le armate napoleoniche, occupando l’Europa, si fecero portatrici delle nuove idee di libertà ed indipendenza, anche se poi si comportarono né più né meno come tutti gli altri eserciti di conquista del passato: infatti, mentre i giacobini italiani ed europei salutarono le truppe napoleoniche come liberatrici, i soldati francesi da parte loro procedettero spesso ad attuare saccheggi, soprusi, violenze, ruberie ecc. Numerose ad esempio furono le opere d’arte italiane che essi portarono in Francia.
    I territori italiani che erano stati soggetti alla dominazione francese subirono dunque violenze e spoliazioni, ma è altrettanto indubbio che tale dominazione ebbe anche risvolti positivi, come ad esempio lo smantellamento parziale del sistema semifeudale, la modernizzazione dei codici e delle leggi, le riforme amministrative ed economiche e, soprattutto, la partecipazione di ampi strati della popolazione alla vita politica.
    Per questo gli storici sono concordi nel ritenere che Napoleone abbia avuto il merito di aver europeizzato, per cosi dire, la Rivoluzione: l’influenza delle nuove idee e delle riforme fu talmente profonda da determinare la nascita di una nuova coscienza etico-politica, soprattutto all’interno delle élites intellettuali e borghesi dei vari paesi. Infatti furono proprio tali élites a promuovere i primi movimenti nazionali e costituzionali e a costituire le prime sette segrete.
    Le sette erano organizzazioni politiche clandestine (la loro attività era punita con la pena di morte) che si diffusero in molte zone dell’Europa, con varie diramazioni e molteplici denominazioni, e che proposero un programma di lotta all’assolutismo in nome del costituzionalismo: esse chiedevano cioè un’evoluzione democratica dei regimi assolutisti tramite la concessione di Carte costituzionali che riconoscessero i diritti civili e politici dei cittadini. Inoltre, molte di queste sette segrete, ebbero come ulteriore obiettivo il raggiungimento dell’indipendenza politica e nazionale da parte di quei popoli ancora sottoposti a dominazione straniera: fu quello che avvenne ad esempio in Grecia (1821-29) e in Belgio (1830-31).
    La Grecia era assoggettata all’impero ottomano, il Belgio all’Olanda e la Polonia alla Russia (e in parte anche alla Prussia e all’Austria). Le sette però furono un fenomeno socialmente minoritario, nel senso che si diffusero solo in gruppi ristretti della popolazione: ad esse aderirono in prevalenza intellettuali, studenti, ufficiali e borghesi. La grande maggioranza della popolazione fu estranea a queste attività clandestine, spesso avvolte da un alone di mistero.
    La Carboneria fu la setta più importante. Introdotta nel meridione d’Italia dai francesi al seguito di Gioacchino Murat, essa derivò il proprio nome e la propria organizzazione dall’arte del carbonaio. Così il carbone divenne il simbolo di questi patrioti, che dovevano suscitare e tenere desto il sacro ideale della libertà e della patria con “fiamma ardente”, quale era quella che nasceva dal carbone. Gli affiliati si riunivano in gruppi chiamati “vendite” ed erano tenuti a prestare un giuramento solenne impegnandosi ad obbedire agli ordini dei capi.
    Bisogna inoltre sottolineare la stretta connessione esistente tra la Massoneria, nata in Europa nel ‘700, e la Carboneria: quest’ultima infatti fece propri molti elementi ideologici ed organizzativi della Massoneria.
    Altre società segrete che si diffusero maggiormente nel nord Italia furono l’Adelfia e la Federazione. L’Adelfia, concentrata soprattutto in Piemonte, s’ispirò al rivoluzionario toscano Filippo Buonarroti.
    La Federazione invece si sviluppò prevalentemente in Lombardia, tra il 1818 e il 1820, e fu guidata da Federico Confalonieri: era formata da elementi borghesi e aveva come fine immediato l’indipendenza della Lombardia dall’Austria, nonché la creazione di una monarchia costituzionale nell’Italia settentrionale.
    I regimi assolutisti cercarono di combattere con ogni mezzo le società segrete e a questo scopo favorirono addirittura la nascita di sette reazionarie (“reazionario” in politica significa di estrema destra) e filogovernative, che sostenevano le ragioni della Santa Alleanza. Tra esse la più nota fu quella dei Sanfedisti (combattenti della Santa Fede), fondata nel sud dal cardinale Fabrizio Ruffo, fautore del regime borbonico e dell’alleanza tra Stato e Chiesa.
    Nonostante i loro gravi limiti e le tante contraddizioni, fu un merito innegabile della Carboneria e delle altre società quello di aver saputo preparare il terreno adatto affinché altri uomini e altre organizzazioni patriottiche potessero dare all’Italia l’unità e l’indipendenza.

    POPOLI E NAZIONI

    Gli storici hanno definito la prima metà del XIX secolo come l’età delle nazioni. Cosa significa? Significa che in quegli anni divenne coscienza comune, soprattutto tra le élites dominanti, il fatto che esistessero in Europa popoli differenti i quali aspiravano a formare un proprio Stato nazionale indipendente e sovrano. Il concetto di popolo e quello di nazione tendevano a coincidere: un popolo era una nazione, ossia una comunità basata sulla medesima identità etnica, culturale, linguistica e religiosa. Tale nazione rivendicava come proprio un determinato territorio, entro cui si era sviluppata la propria storia: tra popolo e territorio esisteva un legame profondo. Il lungo processo che dal Medioevo in poi aveva portato alla nascita dei primi Stati nazionali venne a compimento proprio nella prima metà dell’800.
    L’Europa doveva essere l’insieme delle nazioni e delle patrie libere e quindi ogni popolo aveva il diritto alla propria indipendenza politica, aveva diritto cioè a diventare Stato nazionale sovrano entro determinati confini territoriali.
    I vecchi imperi vennero considerati residui di un passato ormai superato e le tante nazionalità europee ancora sottomesse a tali imperi cominciarono a sviluppare forme di lotta per ottenere l’indipendenza nazionale.
    Anche le divisioni politiche interne, il frazionamento di origine medioevale, che caratterizzava alcuni popoli (come ad esempio quello tedesco e quello italiano) doveva essere superato per raggiungere l’unità di tutta la nazione. Libertà, indipendenza e unità divennero le parole d’ordine dei nascenti movimenti patriottici e liberali. Senza questi concetti non si capirebbero le vicende politiche e militari che si svilupparono in Europa nei primi 60 anni circa del XIX secolo.


     
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